Il Colangiocarcinoma (tumore delle vie biliari) è una malattia subdola che non dà sintomi così chiari e allarmanti da indurre chi ne soffre a rivolgersi al medico. La diagnosi, poi, non è delle più semplici, e sul fronte delle terapie non sono stati fatti grandi progressi negli ultimi anni.
Per queste ragioni questo tumore raro, che nel 2020 si stima abbia colpito in Italia circa 5.400 persone (Airtum, I numeri del cancro in Italia 2020), continua a essere tra le neoplasie più difficili da curare con efficacia.
La prima grande difficoltà legata a questo tumore è il fatto che dà pochi sintomi generici, che per questo sono spesso attribuiti per errore ad altre patologie. A stringere ulteriormente la finestra utile per intervenire è la difficoltà della diagnosi. In genere la valutazione clinica e un’ecografia possono far sorgere soltanto un sospetto di colangiocarcinoma. Per arrivare a una diagnosi affidabile è necessario eseguire esami più approfonditi, come la TAC, che tuttavia non sempre dà risultati risolutivi; si passa allora a una specifica risonanza magnetica, definita colangio-RM e, se anche questa è insufficiente, a un esame invasivo definito colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (CPRE). Dopo questo lungo percorso, al momento della diagnosi solo in un paziente su cinque la localizzazione e le caratteristiche del tumore sono tali da consentire una sua asportazione chirurgica. In questi casi il trattamento può essere risolutivo. Per gli altri pazienti, l’unico trattamento fino a qualche tempo fa disponibile era la chemioterapia, che tuttavia può provocare effetti collaterali non trascurabili e ha un’efficacia limitata.
Da poco è disponibile anche in Italia un inibitore della chinasi indicato per il trattamento di adulti con colangiocarcinoma localmente avanzato o metastatico, con fusione o riarrangiamento del recettore 2 del fattore di crescita dei fibroblasti (FGFR2), che hanno manifestato una progressione dopo almeno una linea precedente di terapia sistemica. Gli studi condotti hanno dimostrato che nei pazienti la monoterapia con un inibitore della chinasi si è verificato un tasso di risposta obiettiva complessivo del 37% e una durata della risposta mediana di otto mesi, risultati notevolmente migliori rispetto alle attuali terapie utilizzati per la cura di questa rara patologia. Risultati incoraggianti anche sul versante degli effetti avversi degli inibitori delle chinasi, che sono generalmente ben tollerati dai pazienti. Alla luce della disponibilità di questa nuova risorsa terapeutica risulta fondamentale consentire agli specialisti interessati di confrontarsi sulla gestione pratica della presa in carico del paziente con colangiocarcinoma.
OBIETTIVO EDUCAZIONALE DEL CORSO
Obiettivo di questo corso sarà quello di consentire agli specialisti interessati di confrontarsi sulla gestione pratica della presa in carico del paziente con colangiocarcinoma
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