La porfiria epatica acuta (AHP) è una malattia genetica rara con una prevalenza stimata di 5,9 casi ogni 100.000 abitanti in Europa. Tuttavia, la prevalenza di alcuni tipi di AHP può essere superiore a quanto generalmente si pensi. Può essere caratterizzata da attacchi potenzialmente fatali e, in alcuni pazienti, da sintomi cronici debilitanti che influiscono negativamente sulle funzionalità quotidiane e sulla qualità della vita. Alcuni pazienti possono persino essere a rischio di neuropatia progressiva irreversibile.
I sintomi, spesso, assomigliano a quelli di altre malattie più comuni come la sindrome dell’intestino irritabile, la fibromialgia, l’endometriosi o persino disturbi psichiatrici. La diagnosi di AHP può arrivare con un ritardo di 15 anni e, in alcuni pazienti, comportare vari ricoveri e anche interventi chirurgici non necessari.
Per confermare se un paziente è affetto da AHP è opportuno prescrivere test delle urine estemporanee per determinare i livelli elevati di acido aminolevulinico (ALA), porfobilinogeno (PBG) e porfirine, neurotossine ritenute responsabili delle manifestazioni della malattia.
Sulla base di questa premessa emerge la difficoltà dell’individuazione del paziente e il coinvolgimento di diversi specialisti che possono trovarsi a gestire un paziente affetto da una delle diverse forme di porfiria per garantire la diagnosi e quindi il trattamento farmacologico adeguato alla luce delle nuove risorse disponibili.
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